(Dire) Enrico Brunello sa di avere la Sindrome delle apnee ostruttive del sonno (l’Osas) perché in Germania viene trattata come una patologia comune, di cui si parla non solo negli studi medici.
La sua diagnosi l’ha ottenuta a Francoforte, più di 20 anni fa. Gli stessi che invece l’Italia sconta come ritardo, al punto da convincerlo a creare un’associazione di pazienti per informare, sensibilizzare, cambiare lo stato delle cose.
“Ci sono oltre 350 gruppi che si occupano delle problematiche legate alla sindrome delle apnee ostruttive nel sonno– spiega all’agenzia Dire- E questo ‘movimento’ mi ha spinto a prendere il cuore in mano e ad agire, una volta rientrato in Italia”.
Nel nostro Paese, infatti, ben poco si sa di questa malattia cronica che si manifesta con sonnolenza diurna e innalzamento del rischio dell’insorgenza di cardiopatie, problemi cerebrovascolari, ipertensione arteriosa, alterazioni del metabolismo e deficit delle funzioni cognitive. La situazione però sembra sul punto di cambiare: in una direttiva europea emanata nel luglio 2014 per la prima volta l’Osas viene considerata quale fattore di rischio primario per incidenti nei trasporti. Per questo tutti gli Stati membri sono stati invitati a mettere in atto le strategie necessarie per poter individuare e diagnosticare, a partire dal 2016, i pazienti Osas in possesso di patente di guida, con particolare attenzione per i trasporti pesanti e per quelli pubblici.
Secondo Brunello, presidente dell’Associazione italiana pazienti con apnee del sonno (Aipas Onlus), “scontiamo oltre 20 anni di ritardo perché non ci siamo comportati come altri Stati, Germania e Olanda ad esempio: invece ci siamo trovati ad affrontare un percorso difficile in poco più di un anno, senza aver trovato ancora una linea d’azione definitiva e senza aver ancora emanato il necessario decreto”.
Il punto da cui iniziare è proprio fare informazione e coinvolgere il numero più alto possibile di persone, in particolare quelle che ignorano di avere sintomi e caratteristiche fisiche riconducibili all’Osas. Soprattutto, che una volta diagnosticata la patologia, la vita migliora radicalmente.
“Quando mi hanno detto che soffrivo di Osas mi occupavo di commercio ambulante in Germania. Ogni giorno avevo sempre più difficoltà a guidare per tornare a casa- racconta Brunello- Rischiavo di addormentarmi al volante, ero sempre stanco durante il giorno e avevo continui mal di testa”. Poi la svolta. “Nel giro di 5 giorni sono passato dal mio medico di base a una clinica che mi ha messo in terapia. E da quel giorno sono rinato”. Nel suo caso il rimedio consiste nel dormire con una mascherina applicata sul volto per ottenere una ventilazione costante, la cosiddetta C-Pap. “Guai a chi me la tocca- aggiunge- Da quando la uso finalmente riesco a dormire, mentre prima mi erano state riscontrate 96 apnee notturne della durata dai 5 ai 50 secondi per ogni ora di sonno: impossibile riposare”.
La sua ‘compagna di dormite’ ha la grandezza di una borsa da computer (ma ne esistono anche della misura di una lattina o di una bottiglietta), quindi è facilmente trasportabile durante viaggi e trasferimenti. Insomma, non ci sono scuse.
“Voglio far capire che non parliamo solo di un disturbo fastidioso, ma di un vero problema del sonno che incide sulla quotidianità. E soprattutto che le nuove abitudini ci migliorano la vita“. Per questo “è necessario che le persone comuni e molti medici di base si informino e seguano corsi di aggiornamento soprattutto al Centro-Sud, dove il ritardo sull’Osas è ancora più accentuato”.
L’occasione arriva dunque dalla direttiva Ue e dall’obbligo di considerare insieme ad altre patologie anche l’Osas in sede di rinnovo della patente: in Italia alcune stime indicano la sindrome come causa o concausa con il rischio relativo piu’ elevato degli incidenti stradali nel 20% degli episodi. Il rischio però è che ci si trovi soltanto davanti a un ostacolo burocratico da aggirare. Da paziente, ma anche da cittadino, qual è la richiesta di Brunello alle istituzioni? “Vorrei che innanzitutto si prendesse coscienza di un problema di massa che si diffonderà sempre di più. Bisogna discutere di come fare prevenzione, partendo magari fin dall’età scolare”.
Fonte Agenzia Dire