Nei giorni scorsi al Niguarda un paziente è stato sottoposto all’innovativa procedura di trapianto per curare il diabete di tipo 1; è il primo caso in Europa e il quarto al mondo.
L’intervento ha coinvolto l’équipe della Chirurgia Generale e dei Trapianti, quella dell’Anestesia e Rianimazione 2, la Diabetologia, la Nefrologia e la Terapia Tissutale.
La nuova procedura sperimentale è stata messa a punto dal Diabetes Research Institute (DRI), un centro di eccellenza diretto da Camillo Ricordi presso l’Università di Miami, dove sono stati seguiti i primi due casi al mondo.
Il paziente sottoposto al trapianto a Niguarda ha 41 anni e convive con il diabete da quando ne aveva 11. Grazie ad una procedura chirurgica mini-invasiva gli sono state trapiantate le cellule necessarie per la produzione di insulina (le isole pancreatiche), quelle che la malattia aveva “messo fuori uso”. Il trapianto è riuscito: il paziente sta bene e ora non ha più bisogno di somministrarsi insulina per mantenere sotto controllo i valori di glicemia.
“Attualmente le cellule insulari vengono infuse nel fegato, ma molte di esse non sopravvivono in questo ambiente, a causa di una reazione infiammatoria che ne compromette il funzionamento – spiega Luciano De Carlis, Direttore della Chirurgia Generale e dei Trapianti- Così, con questa tecnica, che per l’impianto sfrutta la chirurgia videolaparoscopica, si è aperta una nuova via”.
“Mi congratulo vivamente con l’equipe di Niguarda, il primo team della DRI Federation in Europa e nel mondo ad aver confermato il risultato iniziale ottenuto a Miami l’anno scorso. Questa tecnica di ingegneria tissutale sarà fondamentale per permettere la sperimentazione clinica di nuove tecnologie per evitare l’uso di farmaci anti-rigetto, che oggi limitano l’applicabilità’ del trapianto di isole ai casi più gravi di diabete ” spiega Camillo Ricordi, Professore di Chirurgia e Direttore del DRI e del Centro Trapianti Cellulari presso l’Universita’ di Miami.
L’omento è un tessuto altamente vascolarizzato che ricopre gli organi addominali ed è su questa membrana che avviene l’impianto secondo il protocollo perfezionato a Miami.
“Le isole del donatore- indica il diabetologo Federico Bertuzzi-, inoltre, sono state inglobate in un’impalcatura biologica, combinando il plasma del paziente con la trombina”.
Queste componenti, quando unite, creano una sostanza gelatinosa che si attacca all’omento e mantiene le isole in sede. L’organismo assorbe gradualmente il gel lasciando le isole intatte, mentre si formano nuovi vasi sanguigni che forniscono l’ossigenazione e gli altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule.
Grazie a questa evoluzione si punta ad ottenere una sopravvivenza più prolungata delle isole rispetto a quanto avviene per la sede intraepatica. A differenza del fegato in questa sede sarà possibile in futuro applicare microcapsule e altri dispositivi per ridurre la necessità della terapia immunosoppressiva.
Fonte: Ospedale Niguarda