Lettera di solidarietà a cui ogni professionista ed ogni cittadino può aderire firmando on line (petizione) per esprimere vicinanza ai medici coinvolti, promossa anche dai vertici aziendali dell’Ausl di Bologna e del Policlinico S.Orsola Malpighi. In due giorni è stata sottoscritta da oltre 3.000 persone. Tanti i medici e gli infermieri tra i firmatari di tutta Italia. Una appello ripreso ieri dal quotidiano Il Corriere della sera.
Martedi scorso la notizia della sospensione dall’ordine dei medici di Bologna dei vertici del 118 bolognese. Un provvedimento che si aggiunge alla sospensione di altri 4 medici del 118 sancita il 28 febbraio scorso. Da subito la “mobilitazione” è stata corale e trasversale. Su Facebook il gruppo #noisiampronti – che chiede a gran voce il sostegno e lo sviluppo delle competenze specialistiche delle professioni sanitarie – raggiunge in pochi giorni l’impressionante adesione di 22000 iscritti. Da ieri si è aggiunta anche la petizione.
Di seguito il testo della lettera:
Lettera di solidarietà con i Medici del 118 di Bologna, Piacenza e Modena sospesi dall’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Bologna diretta a Ministero della Salute, FNOMCeO, Assessorato politiche per la salute Emilia Romagna, Conferenza Stato-Regioni
Abbiamo appreso del provvedimento disciplinare di sospensione dall’attività predisposto dall’Ordine dei Medici di Bologna nei confronti di Colleghi della Rianimazione e 118 dell’Ospedale Maggiore e del Dipartimento di Emergenza della AUSL di Bologna, oltre che delle AUSL di Piacenza e Modena.
Il provvedimento è stato assunto nei confronti di professionisti conosciuti per l’assoluto valore scientifico a livello nazionale e internazionale, i quali, secondo l’Ordine bolognese, redigendo procedure e istruzioni operative che prevedono la possibilità di somministrazione di alcuni specifici farmaci anche da parte di infermieri, avrebbero trasgredito l’art. 3 del Codice di Deontologia Medica.
Questo tipo di procedure rientra nella modalità di soccorso volta a garantire una gestione ottimale sul territorio dei pazienti che sono a rischio imminente della vita, la cui efficacia è da anni documentata dalla letteratura scientifica e che rappresenta lo standard per i servizi di soccorso di molti Paesi, oltre che per l’Emergenza 118 anche di altre regioni d’Italia.
Il divieto di utilizzo da parte degli infermieri di strategie terapeutiche salva-vita codificate da linee guida internazionali, avallate da precise e protocollate prescrizioni mediche, in pazienti in imminente pericolo di vita, rappresenterebbe un passo indietro di decenni per l’Emergenza nazionale, esponendo – questa misura sì, regressiva davvero – a rischi inaccettabili la popolazione. Come professionisti coinvolti quotidianamente e da anni nel trattamento dei pazienti più gravi, negli ospedali e sul territorio, riteniamo sia tempo che questioni come questa, dotate di enorme impatto sia sulla salute che sulla opinione pubblica, vengano affrontate sulla base di dati scientifici consolidati, con il supporto di esperti del settore ed evitando di generare allarmismi nocivi per la popolazione e per il Sistema Sanitario nel suo complesso.
Alla luce di queste riflessioni, ci saremmo aspettati allora dall’Ordine di Bologna, che, al fine di ottenere un chiarimento sulla gestione delle competenze professionali, si fosse adottato nei confronti dei Colleghi un approccio improntato da un lato al rispetto reciproco secondo l’art. 58 del nostro Codice di Deontologia, dall’altro, al confronto scientifico e a un dialogo da condurre nelle sedi opportune, finalizzato prima di tutto ad analizzare le ricadute in termini assistenziali delle procedure in questione, peraltro accettate e certificate dalle AUSL cui i Colleghi appartengono. Questo approccio, aperto e collaborativo, avrebbe anche sottratto l’intera questione alla prevedibile e inevitabile cassa di risonanza mediatica.
Al contrario, per affrontare quello che si è ritenuto fosse un problema, si è preferito far uso di un provvedimento disciplinare quale la sospensione.
Sottolineiamo con forza, che questa misura, proprio per il suo carattere punitivo, è il segno evidente di una incapacità ad affrontare i problemi di una società e di una professione in tumultuoso cambiamento che, al contrario, richiederebbe prima di tutto una disponibilità nuova a partecipare insieme e costruttivamente alle grandi sfide in corso nei confronti della nostra professione, del Sistema Sanitario Nazionale, dell’intera popolazione.
Sono soprattutto le distorsioni indotte da logiche di tutela corporativa che, oggi, a nostro avviso, costituiscono il vero intralcio alla ridefinizione della figura professionale del medico, come l’attuale, drammatica congiuntura storica invece richiederebbe.
Duole constatare che anche la Federazione Nazionale non abbia saputo, in questa occasione, adottare una posizione di mediazione, collaborazione e disponibilità facendo di questo episodio un punto di forza anziché di evidente debolezza.