Il “Comma 566” sembra essere ormai un “mostro” per alcuni attori della sanità. In realtà si sta trasformando in un capro espiatorio di paure e incertezze, mentre altro non è se non il tassello normativo per regolamentare le competenze specialistiche degli infermieri. Un finto ‘mostro’, che ad Halloween evoca solo il tradizionale “dolcetto o scherzetto?”
Halloween si avvicina e si rispolverano i “mostri”. Per la sanità uno di questi sembra essere diventato – a nessun titolo però – il comma 566 della legge di stabilità 2015.
In realtà, più che un “mostro” il comma 566 è un capro espiatorio di paure e incertezze e un mezzo di scambio per altri favori sul piatto della stagione che si presenta e di cui, dopo un lustro di assenza, fa parte anche il contratto. Eppure, altro non è, se non l’ombrello normativo all’introduzione delle competenze specialistiche degli infermieri, chiesto a gran voce da più parti per legittimare lo schema di accordo Stato-Regioni pronto a regolamentarle, ma ancora in attesa.
Lo hanno dimostrato le affermazioni – infondate perché nessuno ha mai messo in discussione ruolo clinico e professionalità specifica del medico – di alcuni rappresentanti del mondo medico durante i recenti stati generali della professione organizzati dalla FnomCeO. Si è disegnata la crescita delle professioni sanitarie (utilizzando come alibi proprio il comma 566 che ne rappresenta solo un piccolo passaggio) come un decadimento dell’assistenza e non una vittoria per questa e soprattutto – qui è il nocciolo della questione – come un motivo di perdita di appeal della professione medica. Probabilmente i problemi dei medici dovrebbero essere considerati ben altri e medici e infermieri dovrebbero invece davvero lavorare insieme per la tutela della salute del paziente, ognuno secondo la propria professionalità e il proprio ruolo, senza dominatori o dominati. Professionalità e ruoli su cui è essenziale che siano d’accordo e in sintonia, senza interventi spot a gamba tesa, sfruttando la tensione di un momento politico che unisce semmai professioni e cittadini nel tentativo di far fronte comune a un danno – quello del decadimento del Ssn – sicuramente irreparabile per tutti.
E’ forse il caso di chiarire bene, quindi, di cosa si sta parlando per evitare che un semplice “fiore” sia usato come “arma” per scopi e contrasti che con la norma, i suoi sbocchi e le nuove competenze degli infermieri non dovrebbe in realtà avere nulla a che fare.
Le competenze specialistiche altro non sono se non un passo in più nella crescita della professione e non un tentativo di appropriarsi di specificità non proprie, aprendo la strada a canali nuovi sia di management, ma soprattutto clinici, per lo sviluppo della professione degli infermieri.
E come sempre accade, in questo l’Italia è l’ultimo vagone di un treno che in Europa (e non solo) è già lungo e collaudato perché a partire da Paesi a noi vicini e simili per gestione dei servizi sanitari come la Gran Bretagna, fino a quelli di Oltreoceano come gli Usa, esistono già. Da anni e con successi innegabili sia per la gestione ottimale dei servizi rispetto ai bisogni dell’utenza che per il risparmio conseguente a un lavoro più proprio e mirato di tutti i professionisti che dei servizi sanitari sono la vera anima.
Se una colpa il comma 566 ce l’ha, è quella di essere capitato in un momento storico-politico in cui gli equilibri di molte professionalità e del mondo del lavoro sono fragili, e quella che è stata considerata una “novità dirompente”, anche se così non è, è stata additata come lo strumento di una fantasiosa destabilizzazione del sistema, invece di essere considerata come una chance in più per la crescita di questo.
Ma siccome parlare dell’erba del vicino non è mai bene, perché sembra più verde anche se non lo è, restando in tema di competenze specialistiche è meglio – forse – spiegare di nuovo alcuni cardini su cui queste si articolano.
Anzitutto si parla di un percorso che va pianificato con studi universitari ad hoc – tutti da disegnare – e secondo settori ben definiti di azione, rappresentati dalle sei aree descritte nella bozza di accordo Stato-Regioni in attesa da tempo. Tutte le altre “specialità” a cui spesso si fa rifermento parlando di infermieri sono in realtà percorsi di perfezionamento professionalizzanti che non c’entrano con le competenze avanzate e che comunque caratterizzano da anni la professione infermieristica.
Un percorso costruito su due assi portanti, come ha proposto l’Ipasvi nel modello che ha messo sul piatto della discussione: quello della clinica, che rappresenta la linea del governo dei processi assistenziali (niente diagnosi e terapia quindi) e quello della gestione, che rappresenta il governo dei processi organizzativi e delle risorse. Quattro i livelli (sia per il management che per la clinica): l’infermiere generalista, matrice “core” della competenza, l’infermiere con perfezionamento clinico o gestionale, quello esperto clinico o coordinatore con master e il più avanzato infermiere specialista, formato con laurea magistrale in Scienze Infermieristiche con orientamento clinico o gestionale/formativo.
Ma non è solo per questa “semplicità” che il comma 566 non è un “mostro”. Non lo è perché sia le previsioni della legge di stabilità 2015, sia lo schema di accordo Stato-Regioni, altro non fanno se non che regolamentare e uniformare per tutti esperienze già presenti e affermate in molte Regioni. E con successo.
E non rappresenta neppure il rischio di limitazioni per alcune professioni: tutte dovrebbero ragionare su come fare perché da questo possa scaturire un’assistenza più completa, compiuta ed efficace. E bussare alla porta della politica e della multiprofessionalità non per lanciare allarmi, ma solo per dire semmai a questo punto, scaricando le tensioni create da falsi “mostri” e restando in tema del periodo,“dolcetto o scherzetto?”.
Barbara Mangiacavalli
Presidente Fnc Ipasvi
Fonte sito web FNC IPASVI